Signora Ava

Compagnia del Monte Gargano

      “Nel maggio Pietro andò in pellegrinaggio a San Michele del Gargano. La compagnia era costituita da sessanta persone con tre crocifissi, due labari della confraternita di San Giuseppe, e quattro campanelli. Uomini davanti e donne dietro: erano ordinati come una processione: ma l'ordine rigoroso era mantenuto solo all'ingresso dei villaggi e sulle strade larghe: per i viottoli di campagna, andavano in gruppi di quattro, cinque, uomini e donne, cianciando e ridendo, informandosi dai pastori del nome dei proprietari delle terre che attraversavano. I più anziani valutavano il valore dei raccolti, la qualità delle terre, il tempo giusto per le semine. I giovani sentivano vagamente l'odore della primavera, il fermento della terra in fiore; vedevano il cielo profondo, le nuvole grasse di maggio e si guardavano negli occhi con una sorta di angoscia.

Le ragazze strappavano ai margini delle strade i primi papaveri e le margherite e ne facevano mazzetti che poi portavano nelle rozze mani, non sapendo che farsene. Carmela s'era messa due papaveri tra i capelli, ma poi uno aveva detto che pareva una capra adornata per il giorno della benedizione, facendo ridere tutti; e Carmela s'era strappata i fiori e li aveva buttati.

Sperava che Pietro la guardasse; camminava dietro il giovane con un atteggiamento umile di bestia, respirando le sue orme. Pietro camminava distratto a testa alta; il suo passo era lungo, snodato come quello dei lupi; respirava a narici aperte l'aria profumata di erbe, e sentiva il vigore inesauribile del suo corpo dividere lo spazio con quel ritmo facile di respiro come se anch'egli fosse una cosa della terra e andasse per il suo cammino, senza opera di volontà.

Carlo chiacchierava continuamente, dava indicazioni a tutti dei luoghi, dava spago alle ragazze con frizzi puerili, con bravate, bugie. Era la quarta volta che faceva quella strada, la conosceva palmo a palmo, l'avrebbe fatta a occhi chiusi. Un anno c'era stato anche a mietere ed era stato l'antiniero per quindici giorni di seguito...... Pietro camminava a testa alta con una specie di furia di cui si rendeva conto, e il leggero vento di maggio gli entrava tra i folti capelli ricciuti scompigliandoglieli. -Buon vento, vento pieno di odore-, pensava Pietro. -Perché corri tanto?-, gli disse Carmela Rivullo che lo seguiva affannata, -gli altri si sono fermati per mangiare. Tieni, mangia pure tu.

Pietro prese il pane nelle mani e si fermò non sapendo che fare. -Ci sediamo e mangiamo insieme-. Disse la ragazza. Gli prese la bisaccia che Pietro aveva a tracolla, ne estrasse la fiasca e la depose sul ciglio della strada. -Qui-. Fece Carmela, -c'è l'ombra-. C'erano due perastri carichi di frutta grandi come lacrime, e ricchi di foglioline tenere.

Si sedettero. La ragazza disse con una voce incrinata leggermente da un tremito che le correva nel grembo come il brivido della febbre:

-stai sempre solo: che pensi Pietro?-

Pietro senza guardarla rispose con un gesto vago come per dire: -pazzie-, e sorrideva alle sue immagini.

La ragazza gli si era fatta più vicino e lo guardava incantata con i suoi mesti occhi di cane. Pietro mangiava voracemente senza parlare; ad un tratto si sentì la ragazza aderire al fianco e gli arrivò alle narici il suo odore, l'odore dei suoi capelli e del corpo accaldato.

Pietro si volse lentamente a guardarla: aveva il solito respiro affannoso nel busto pieno, già materno, e gli occhi umili, ardenti che cercano i suoi. Una mano della ragazza scivolò nel breve tratto erboso che li separava e cercò la sua; sentì nel suo il palmo dell'altra. Scabro e bruciante. In quel momento s'udì il suono dei campanelli e un brusio di voci: -vengono-, disse Pietro e s'alzò.

La ragazza rimase ancora un attimo seduta e poi andò a raggiungere gli altri di corsa.

La notte si fermavano nei paesi che incontravano lungo la strada. Raggiunte le prime case si rimettevano in ordine, gli uomini  avanti con le croci e campanelli e le donne dietro. Cantavano:

-Santo Michele Arcangelo".

Le donne rispondevano con voci acutissime di testa: -ora pro nobis-.

Poi entravano nella chiesa del luogo e percorrevano in ginocchio tutta la navata tra lo sfolgorare dei ceri e i fumi dell'incenso.

Pernottavano all'aperto a ridosso delle mura delle chiese. Le notti erano fredde, stellate e senza luna. Prima di addormentarsi le donne più anziane, chiuse nel buio tra le vecchie case sconosciute, silenziose, parlavano di cose devote e delle lotte dell'Arcangelo col demonio.

-il demonio cammina di notte e di giorno dietro i poveri cristiani per portarli per la cattiva strada: ma se chiami San Michele, corre come il vento e ti viene ad aiutare. Lo devi chiamare tre volte e farti il segno della croce. Se di notte  incontri uno spirito, tu dici: tre parti di Dio che ombra sei? Se scompare è il demonio, se t' accompagna per la strada è San Michele-.

-e poi dove va San Michele?- chiedeva una voce al buio.

-San Michele è angelo ,vola-.

-Vola-, pensava Pietro ravvolto nel suo mantello con gli occhi spalancati nel buio. -Vola perché è leggero come l'aria: non puó camminare sulla terra. Per camminare sulla terra ci vogliono passi pesanti-. 

L'aria pulita dal vento notturno era senza odori: Pietro dopo il lungo camminare aveva le membra stanche: il suo occhio trascorreva sul mucchio dei dormienti avvolti nelle cappe scure o nei pannucci rossi che il buio faceva neri, e sentiva nel silenzio il ritmo dei fiati. I crocifissi appoggiati al muro stendevano le braccia dolorose sui loro fedeli e li guardavano con gli occhi spenti. A Pietro piaceva quella veglia solitaria: gli pareva di non sentire più quell'odore acre di campagna e di corpi in fermento, che aveva avuto dentro tutto il giorno.

Ora un odore più sottile evocato dalla memoria gli veniva alle narici: quello delle mani odorose di Antonietta che aveva avuto sul viso una volta, delle sue dita fragili sui capelli, di tutto il suo corpo che era nelle sue braccia quando l'aiutava a scendere da cavallo..........i suoi pensieri si perdevano nel sonno. Pietro dormiva con la testa appoggiata sulla bisaccia, ravvolto nella cappa scura, e nel sonno conservava quel mite brillare delle stelle e le sue fantasie tristi e dolci della veglia”.

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