GASTRONOMIA LUCANA

La gastronomia è uno degli elementi caratterizzanti della cultura di un popolo.

La Basilicata, antica Lucania, racconta attraverso il suo cibo l’identità di una terra che, al centro del Sud Italia, è stata luogo di passaggio di genti e di contaminazioni culturali che oggi hanno portato alle tradizioni della cucina.

Per questo la forza del cibo lucano si fonda su una unicità anomala, fatta di sintesi di gusti, arricchiti dalle trasformazioni dei secoli, e di prodotti che passavano per questa terra e da questa terra venivano accolti e contaminati. 

Sono stati popoli come i greci, i saraceni, gli svevi e gli arbereshe, ma anche i campani, calabresi e pugliesi ad aiutare questa terra a diventare accogliente, a condividere le sue ricchezze e a renderla capace di nutrirsi attingendo al grembo della storia.

Dalla pasta rigorosamente fatta a mano alle carni, per lo più di agnello, capretto, maiale e vitello, alle verdure genuine e cucinate in più ricette, ai profumati e colorati prodotti raccolti nelle immense distese di agrumeti e frutteti, altra ricchezza dei sapori lucani. 

Declinato in diverse ricette anche il Baccalà ha il suo protagonismo, particolarmente apprezzato con i Peperoni Cruschi di Senise Igp.

Oltre ai vari riconoscimenti Doc, Dop, Igp e Igt, che hanno consentito di esportare le eccellenze gastronomiche della Basilicata in tutto il mondo, la regione vanta anche presidi Slow Food come il Caciocavallo Podolico Lucano, il Fagiolo Rosso del Pantano di Pignola, l’Oliva infornata di Ferrandina, la Pera signora della Valle del Sinni e il Pezzente della Valle Materana. Il tutto annaffiato dal buon vino locale, come l’Aglianico del Vulture Doc, che propone colori e aromi deliziosi. 

La tradizione gastronomica di Potenza si basa su pochi elementi essenziali quali pane, pasta per lo più fresca e fatta in casa, carne di maiale, formaggi, latticini, peperoni, baccalà e vino.

La “panella”, a ricordo del tradizionale pane fatto in casa, è di forma generalmente rotonda.

Per quanto concerne, invece, i primi, i tipi di pasta fresca più diffusi sono gli strascinati, i cavatelli, le orecchiette, i fusilli, le làgane, gli gnocchetti, le manatelle e i ravioli con la ricotta.

In particolare, il piatto simbolo della cucina potentina è costituito dagli strascinati, un tipico formato di pasta fresca lucana, fatta rigorosamente a mano. Imprescindibile per modellare alla perfezione i pezzetti di impasto è una buona tecnica manuale, che consiste nel “trascinarli” su un ampio piano in legno con le dita della mano, da qui il loro nome “strascinati”.

Questi ultimi sono solitamente conditi con sugo di pomodoro, arricchito con tocchetti di salsiccia oppure pezzente (salsiccia contenente più grasso), ovvero carne mista di maiale, agnello o vitello e formaggio pecorino.

Generalmente, vi si aggiunge del peperoncino piccante macerato nell’olio d’oliva o una spolverata di ricotta salata grattugiata.

Tra gli altri, è doveroso menzionare le lagane e fagioli (o ceci), che hanno da sempre rappresentato un piatto sostanzioso, saporito e molto nutriente, soprattutto per le classi contadine.

Le lagane sono delle strisce di pasta larghe circa 4 cm e dalla sfoglia piuttosto spessa, fatte con farina e acqua, senza uova. L’origine etimologica della parola si perde nel greco antico: indicava un disco di pasta fatta con acqua e farina, già arrostito su una pietra rovente e successivamente tagliato a strisce. Queste venivano unite a legumi o granaglie e di solito consumate a zuppa.

Più larghe delle tagliatelle ma più strette delle lasagne, passarono dalla Magna Grecia fino alla Roma Imperiale: anche il poeta Orazio nelle sue Satire metteva in versi la sua cena a base di lagani, ceci e porri. 

Con riguardo ai secondi, le carni pù diffuse sono quelle di maiale, agnello, capretto, e, più raramente, vitello.

La carne di maiale, da sempre, viene consumata sia fresca sia insaccata ed, in particolare, nelle forme della salsiccia, pezzente, prosciutto, capocollo, pancetta e cotechino.

Le origini della salsiccia sono molto antiche: esse risalgono all’epoca romana.

Il popolo dei Lucani fu, infatti, conquistato dai Romani nel III secolo a.C. e, dunque, la specialità fu introdotta nell’Urbe dai soldati ma anche dalle schiave.

La pietanza fu particolarmente apprezzata, oltre che per il sapore, anche per la facilità di trasporto e per la conservazione, con il sale – salsiccia sta appunto per “carne salata”- che conferiva alla carne di maiale.

Non essendovi infatti frigoriferi o altre sostanze conservanti, si ricorreva appunto al sale e alla lenta stagionatura, proprio come si fa ancora oggi. Grazie alla tradizione contadina, ancora in auge nelle zone di montagna, la preparazione odierna è, infatti, esattamente come quella delle prime ricette delle quali possiamo avere memoria.

Tra queste, la più dettagliata e particolare che ci è pervenuta è di Apicio, nel De Re Coquinaria del I secolo d.C.: “per fare le lucaniche: si trita pepe, comino, peverella, ruta, prezzemolo, spezierie dolci, coccole di lauro, salsa d’Apicio; e si mescola il tutto con polpa sminuzzata, pestando poi di nuovo il composto insieme con salsa, pepe intero, molto grasso e finocchi. Insacca poi il tutto in un budello allungandolo quanto è possibile. E così si sospenda al fumo”.

I Romani conobbero, dunque, la salsiccia in Lucania e le diedero il nome di lucanica o luganega per indicarne il luogo di provenienza. Dai Romani conquistatori, la lucanica fu poi portata nel resto d’Italia e d’Europa.

A testimonianza dell’origine lucana sono pervenuti i contributi, oltre a quelli di Cicerone e Marziale, anche dello storico Marco Terenzio Varrone che, nel De lingua latina scrisse: “chiamano lucanica una carne tritata insaccata in un budello, perché i nostri soldati hanno appreso il modo di prepararla dai Lucani”. 

Nella cucina potentina, un posto importante è riservato ai formaggi e ai derivati del latte. Molto apprezzate sono le scamorze, le mozzarelle, i burrini (conosciuti anche come manteche), le burrate, il caciocavallo e la provola.

Caratteristico, oltre che molto saporito, è il caciocavallo impiccato, ossia legato ad un supporto che richiama il patibolo e arrostito al calore della brace ardente.

Secondo una diffusa tradizione furono i cacciari potentini ad esportare, verso la fine del XIX secolo, il provolone in Lombardia e in Veneto. 

Il vino più conosciuto è l’Aglianico del Vulture, DOC già dal 1971. L’Aglianico del Vulture rappresenta, infatti, il vitigno principe della Basilicata, con oltre il 60% della superficie vitata, che rappresenta i 9/10 della produzione dei Vini DOP e IGP.

Il colore è rosso rubino impenetrabile, il profumo è elegante con sentori di frutta rossa matura e marasca, ciliegia sotto spirito e liquirizia, chiodi di garofano, pepe nero e note tostate dopo il passaggio in barrique, anche se i produttori più legati alla tradizione utilizzano ancora le botti grandi. L’importante carica acido-tannica rende questo vino molto longevo ed è perfetto in abbinamento con un Filetto di podolica al pepe.

In provincia di Potenza, la Val d’Agri è un’area valliva nel cuore della regione, un territorio molto interessante nel quale si trovano due delle quattro denominazioni lucane.

I vini della Val d’Agri (Terre dell’Alta Val d’Agri DOC) e della zona di Roccanova (Grottino di Roccanova DOC) si distunguono anche nelle coltivazioni biologiche. Merlot e Cabernet Sauvignon, Sangiovese e Montepulciano danno vini ricchi di struttura, con sentori di frutti a bacca rossa, spezie e liquirizia, e nelle denominazioni Terre dell’Alta Val d’Agri DOC e Grottino di Roccanova DOC riescono a tradurre tutte le caratteristiche del terroir lucano.

 

 Testo a cura dei volontari del progetto di Servizio Civile “………… c’è TURISMO e CULTURA a POTENZA”

Fonti:
F. Villani, Potenza città verticale, guida turistica, 2018, Potenza;
www.basilicataturistica.it

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