IL MAGGIO POTENTINO

La Storica Parata dei Turchi

Le tre ambientazioni della Parata: fonti contrastanti e leggende

La Parata, anticamente denominata “processione”, si sviluppa in tre ambientazioni riferite a tre diversi periodi storici. La manifestazione si apre con il quadro folkloristico del 1800 che ripropone lo spaccato della vita potentina di quegli anni minuziosamente descritta da Raffaele Riviello in Cronaca Potentina e Ricordi e note su costumanze, vita e pregiudizi del popolo potentino.

Il secondo quadro in ordine di apparizione della Parata è riferito ad un evento avvenuto il 24 giugno del 1578, ovvero l’ingresso in città del giovane Conte de Guevara, testimoniato dal Rogito notarile redatto dal notaio Scafarelli.

La terza e ultima ambientazione della “sfilata” è contestualizzata al periodo storico, il XII secolo, in cui Gerardo Della Porta, allora vescovo di Potenza e dopo la sua morte santificato vox populi dalla città nel 1125, visse e operò la sua missione pastorale a Potenza.

La prima ambientazione della Storica Parata dei Turchi si attiene alle descrizioni che Raffaele Riviello, presbitero e storico potentino del XIX secolo, pubblicò in, come accennato in precedenza, Cronaca Potentina, testo completato nel 1889, e Ricordi e note su costumanze, vita e pregiudizi del popolo potentino, opera del 1893. I suoi scritti rappresentano fonte preziosa e necessaria alla ricostruzione dello spaccato sociale ottocentesco presente nella Parata e canovaccio, ancora attuale, per la riproposizione annuale della manifestazione. Nella prima opera, prettamente storica in cui l’autore racconta dagli anni repubblicani del 1799 fino all’insurrezione lucana e ai drammatici anni del brigantaggio, è presente una breve descrizione della festa. Riviello in queste poche righe descrivendo i festeggiamenti in onore del Santo Patrono Gerardo a Potenza che rendevano la città «lieta, affaccendata, chiassona pel rumoroso frastuono di pifferi, di tamburi e di bande musicali, e pel concorso di gente dai vicini paesi, rinfrancandosi per breve tempo della monotona quiete di un anno», si soffermava poi sulla popolare tradizione della nave e dei Turchi. L’autore, cercando l’origine della manifestazione, scriveva «la costumanza a primo aspetto sembra che sia sciocca, barbara e ridicola, da essere stimata una vera mascherata; ma che invece deve ricordare qualche invasione di Turchi o Saraceni, che approdando sulle coste del mare Ionio, ed avanzandosi sino alle nostre alpestri contrade, ne furono respinti da valore di popolo, animato da sentimento di patria e di fede».

Una descrizione più articolata e puntuale, invece, è presente nella seconda opera dello storico potentino, Ricordi e note su costumanze, vita e pregiudizi del popolo potentino. E’ questo un testo del 1893 che racconta i vari aspetti della vita quotidiana del popolo potentino dell’epoca: i tre punti della vita (nascita, matrimonio e morte), vestiario, giochi, lavoro, cucina, feste campestri e feste solenni, industria, commercio, fiere e leggende. Nel settimo capitolo, dedicato alle feste e processioni solenni, Riviello, prima di descrivere la processione solenne in onore di San Gerardo, che fino al 1888 si è celebrata il 12 maggio di ogni anno, narra minuziosamente gli avvenimenti relativi alla vigilia della festa patronale descrivendo nel dettaglio il clima di festa e la “sfilata” dei Turchi che veniva messa in scena proprio in quel giorno. Al tramonto della vigilia i contadini portavano in giro per la città in spalla le iaccare, grandi falò di canne fasciate attorno ad una trave lunga e sottile, accompagnate da bande e tamburi. In diverse parti della città altri contadini erano affaccendati a vestirsi da Turchi, si radunavano poi dinnanzi alla Chiesa di San Gerardo per poi fare il giro per le vie della città con la nave e con il carro. Come afferma Riviello nel suo scritto, «la sfilata dei Turchi era ed è la parte più originale, brillante e fantastica della festa popolare; quantunque abbia subito parecchie ritoccature di novità e di progresso». L’autore in questa descrizione mette in evidenza i cambiamenti che nel corso di quegli anni la manifestazione aveva subito: la nuova partecipazione di «ragazzini graziosi che si vestono da Turchi», e dunque non sono solo più contadini robusti che prendono parte alla manifestazione, la nave che non è più la barca o tartana a vela latina ma si è mutata in bastimento con il fumaiolo a vapore trasformando i contadini in marinai, una sfilata che diventa sempre più ricca di partecipanti.

Come sostiene anche il Riviello, senza la nave, i turchi e il carro (Tempietto del Santo)non si può immaginare la festa di San Gerardo. Lo storico proprio attraverso questi simboli si interroga sull’origine della “sfilata” dei Turchi affermando e riprendendo la dottrina di Vico secondo cui i simboli rivelano sempre fatti o ricordi di storia antica. In assenza però di fonti storiche a cui far riferimento, Riviello ritiene semplicemente, come già affermato in Cronaca Potentina, che «la costumanza ricordi un episodio di fede e di valore cittadino contro invasione di scorreria di Turchi o di Saraceni che approdati ai lidi dello Ionio si spinsero poi, conquistatori o predoni, sino nelle nostre montuose contrade, donde furono cacciati con quel coraggio che in gravi pericoli patria e fede sogliono dare». Dunque, credenze popolari e fede religiosa che costruiscono e tramandano una tradizione viva ancora oggi in cui sono presenti gli stessi simboli descritti da Raffaele Riviello.

La seconda ambientazione della Parata fa riferimento ad un preciso documento storico, il Rogito Notarile del 1578 redatto in occasione dell’ingresso in città del giovane Conte Alfonso de Guevara dal notaio Giovanni Antonio Scafarelli. Come riporta il documento, il 24 giugno del 1578 entrò in città il Conte Alfonso de Guevara. La fanteria e la cavalleria andarono incontro al giovane Conte ai piedi della città (nei pressi dell’attuale Rione Betlemme) e venne poi simulata una battaglia, una “scaramazza” nei pressi di un lago situato, secondo il documento, nelle vicinanze di Vaglio Basilicata fra due schieramenti contrapposti: «truppa moresca e turchesca» contro cavalleria e fanteria. Vennero addirittura realizzate tre torri saracene sulle rive del suddetto lago per poi essere distrutte e bruciate in segno di vittoria sull’esercito dei mori. Terminata la rappresentazione dello scontro, il Conte, accompagnato da tutti i partecipanti della “scaramazza”, si diresse in città e venne accolto da una schiera di fanciulli «vestiti di bianco con corone d’edere» che gridavano “Viva viva Ghevara”. Poco prima di Porta Salza, nei pressi della porta della città, l’Arcidiacono, il Capitolo e il Clero consegnarono al Conte le chiavi di Potenza. Spiegato il Palio, il giovane Conte fu condotto per la città sino ad arrivare alla Cattedrale di San Gerardo dove venne accolto con le dovute cerimonie. Il notaio Scafarelli chiude il Rogito scrivendo che i festeggiamenti in onore del Conte de Guevara continuarono per diversi giorni: «dall’hora in poi sempre si fè festa, et balli per molti giorni dove concorsero molti poeti a tale festa, e si presentono comedie et egloghe, con molta allegrezza di tutta la città».

Riguardo alla terza ambientazione, ovvero il XII secolo, non ci sono fonti che attestano la reale ricostruzione rappresentata nella Parata. In questo quadro si pone in evidenza la grande fede del popolo potentino per il suo Santo Patrono. Gerardo Della Porta, nato a Piacenza da una nobile famiglia, giunto a Potenza, forse diretto o di ritorno da una crociata, si dedica qui alla vita apostolica. Proclamato vescovo della città nel 1111, visse fino al 1119. Durante la sua permanenza fu molto amato dal suo popolo per via della missione pastorale che riuscì a compiere, aumentò l’istruzione del popolo e diffuse conoscenza e sapienza. Nella credenza popolare e nella leggenda legata alla sua figura si è fatto sempre riferimento all’episodio miracoloso che lo vede protagonista, secondo cui grazie alla sua santa intercessione riesce a scacciare l’esercito turco da Potenza sulla riva del fiume Basento. Erano questi gli anni della Prima Crociata invocata da Papa Urbano II. La missione si concluse nel 1099 mediante la liberazione di Gerusalemme fino ad allora sotto il controllo dei musulmani. La presenza dei turchi a Potenza, però, non è testimoniata. Allo stesso tempo, tuttavia, il clima inerente le guerre di religione è stato un elemento che per diversi secoli ha condizionato fede e credenze popolari. Addirittura, nel 1089, il Papa Urbano II indisse il Terzo concilio proprio a Melfi durante il quale il Pontefice ed i Capi Normanni adottarono decisioni per liberare la Terra Santa dai musulmani. Lo stesso Torquato Tasso nella sua opera Gerusalemme Liberata fa riferimento alla partenza dell’esercito normanno dall’Italia Meridionale verso la conquista della Città Santa, citando proprio la Basilicata: “Ed altri abbandonar Melfi e Lucera…”.

E’ chiaro quindi che questo contesto politico, religioso e storico ha favorito la costruzione della credenza popolare in cui vi era un nemico da sconfiggere di orientamento religioso diverso, i turchi.

Per questo nella parata attuale, nello specifico nella terza ambientazione relativa al XII secolo, sono presenti simboli riferiti alla guerra tra Occidente e Oriente, alla fede e alla devozione del popolo potentino al Santo Patrono: figuranti che rappresentano il mondo ecclesiastico, i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme che rievocano soldati crociati, nobili e popolani e il simbolo più importante ed identitario rappresentato dall’edicola votiva con l’effige di San Gerardo portato in spalla dai Portatori del Santo che indossano calzari e lunghi mantelli.

Oltre alle fonti e alle leggende legate alla costruzione dei tre quadri della Parata, altri studiosi e storici si sono interrogati sull’origine di essa con le più disparate interpretazioni: la leggenda beneventana dell’VIII secolo legata al martirio di Sant’Aronzio, protettore della città prima di San Gerardo, e dei suoi fratelli; la visita a Potenza di Ludovico re di Francia nel 1184 dopo la sua liberazione dai saraceni per opera del re normanno Ruggero II; il sacco di Otranto del 1481, la battaglia di Lepanto del 1571 che si concluse con la vittoria delle flotte cristiane su quelle musulmane dell’Impero Ottomano; la battaglia di Vienna del 1683 tra l’esercito polacco-austro-tedesco e l’esercito dell’Impero Ottomano. Anche queste fonti e interpretazioni che hanno un comune denominatore: la fede e la vittoria del mondo cristiano sull’Impero Ottomano.

Testo a cura di Nicoletta Avigliano

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